Mai
come in questa occasione Spazio Cordis, ex ambulatorio cardiologico e quindi specializzato nella
cura del corpo, ha ospitato un
intervento site-specific: le performance di Chiara Ventura (Verona, 1997), infatti, utilizzano il corpo
come strumento privilegiato di ricerca.
La mostra Corpo
Limite indica un
percorso di decostruzione dell’interiorità in funzione dell’ascolto fisico e
psichico di sé e dell’incontro, sempre problematico, con il mondo circostante.
Il
corpo presentato è un corpo del quotidiano, lontano da ogni idealizzazione,
desessualizzato, talvolta legnoso e impacciato nei movimenti, capitato quasi casualmente
davanti alla macchina da presa. È un corpo concepito come unità di misura nella
conoscenza del mondo interno ed esterno, non con le modalità antropocentriche e
rassicuranti dell’uomo vitruviano o rinascimentale, ma con l’incompletezza e i
limiti dell’uomo contemporaneo.
“Corpo
limite” significa dunque questo: corpo come unità di misura dell’artista nello
spazio e nel tempo ma contemporaneamente
anche limite, confine che porta l’uomo alla conoscenza di sé. Il corpo diventa
anche strumento per raccontare la difficile relazione con l’altro. Le azioni si
spingono verso territori psichici complessi, rappresentativi della fatica,
dello sforzo adattativo, degli ostacoli da superare nell’esistenza umana.
Nella
performance Mi metto all’angolo, documentata da un video e da sei fotografie,
la volontà dell’artista è quella di decentrarsi e di mettersi in empatia
estetica con l’angolo, spazio in sintonia con la propria interiorità.
Chiara si
fa vedere al margine di luoghi anche affollati, dove il via vai della gente si
concentra altrove; l’angolo consente così di far risuonare visivamente l’emarginazione,
anche come denuncia sociale. La performance si interrompe quando qualcuno si
accorge di lei: l’angolo è infatti il punto di incontro tra due pareti e quando
l’artista incontra l’altro, la sua emarginazione smette di avere senso.
Chiara si muove lungo il crinale tra positive esperienze
esistenziali e sofferenza psichica: indaga il confine labile tra attitudine
introspettiva del soggetto, che fa di sé l’oggetto di studio, e
auto-osservazione morbosa. In Psicopeso
sessantacinque l’attenzione è centrata sull’interferenza di un pensiero nella
vita di ogni giorno. L’artista è ossessionata dal pensiero di pesare
fisicamente. Questo pensiero interferisce nevroticamente sulla sua quotidianità,
frammentando e disorganizzando il tempo, scandito dall’azione di pesarsi, nel
corso di sette giorni, ogni sessantacinque minuti, sessantacinque volte. Si
tratta di una numerologia controllante e pianificante, come difesa mentale e
comportamentale, al fine di abituarsi e convivere con la difficoltà di
adattamento alla vita.
Questa ossessività rimanda alle tematiche del Disturbo del
Comportamento Alimentare, ma anche alla compulsività, intesa come azione
ritualizzata che ha il fine di controllare l’ansia e di limitarla. Nelle
performance emerge chiaramente sia la dimensione spaziale, che quella
temporale. Il tempo è scandito da azioni
che si ripetono e che occupano un numero definito e calcolato di minuti e di
ore, tanto che in alcune esecuzioni il tempo viene minuziosamente riportato su
un cartiglio lasciato sul luogo dell’azione performativa.
L’artista, con questo
gesto, vuole infatti “marchiare” il luogo, lasciare la testimonianza scritta del
suo passaggio con il peso del proprio corpo e della sua iterazione con lo
spazio architettonico di quel luogo. Questo è visibile chiaramente nelle due
performance Mi adatto e Mi ascolto.
Nella prima Chiara cerca di adattarsi a
porzioni di habitat esterni con il suo corpo: tale adattamento richiede uno
sforzo non facile, una serie di tentativi, che sono numerati ventuno volte per
aderire a una superficie esterna. Ventuno – le volte in cui l’artista si adatta
– non è una cifra casuale ma è il numero che secondo diverse teorie è
necessario per trasformare un’azione in un’abitudine. Nel video si succedono habitat urbano,
habitat domestico, habitat naturale, habitat virtuale/potenziale e all’interno
di questi luoghi l’artista ragiona per sineddoche: sceglie di aderire proprio a
quella superficie, perché rappresentativa di una parte per il tutto. Cercando
di essere duttile materia adattativa, realizza un corpo a corpo, un incontro-scontro,
che ancora una volta la porta a conoscenza del suo “corpo limite”.
Mi Ascolto è invece la più intima e introspettiva
delle performance, evoluzione dei precedenti lavori pittorici incentrati sui Paesaggi interiori. Qui non c’è più una
tela, c’è la volontà di andare oltre la materia, con paesaggi interiori non più
dipinti ma vissuti. L’azione consiste in un auto-isolamento dal mondo
esteriore, al fine di un ascolto interiore, mediato dall’ascolto del corpo. Viene utilizzata una strumentazione, un “kit performativo”, che diventa
prodotto artistico autonomo, composto da stetofonendoscopio, benda, cuffia
antirumore, fascia antirumore e sgabello portatile.
L’udito è riconosciuto come
senso privilegiato, cercando di eliminare gli altri sensi. Il tema
dell’introspezione, per l’artista, rimanda a contenuti filosofici stoici, quali
la oikeiosis, ossia la conoscenza del
proprio io interiore. Per la performance vengono scelti luoghi significativi,
che ricordano situazioni, persone, momenti, in cui l’artista non si era
ascoltata, e tempi variabili, a seconda della sessione di ascolto, per un
totale di quattro ore e trentacinque minuti.
Nella
ricerca artistica dei propri luoghi interiori, Chiara Ventura, non ha paura di
entrare in contatto con la sofferenza, con la solitudine e con la frustrazione
che questi creano, cerca anzi attraverso la sua arte una sublimazione, un’auto-cura,
una terapia per la propria interiorità.
Per
tutti questi motivi Corpo Limite non solo ci permette di apprezzare la
ricerca, la personalità, il coraggio e la maturità introspettiva di questa
giovane artista, ma muove anche i nostri luoghi interiori, aiutandoci, forse, a riconoscerli, ascoltarli
e viverli.
La mostra si inserisce nell’ambito della 10^
edizione di First Step, progetto dell’Accademia di Belle Arti di Verona che
coinvolge studenti dell’Accademia in una prima occasione espositiva e studenti
dell’Università in una prima esperienza curatoriale.