Eco
– etico e concreto, “Econcrethic”, come lui stesso lo definisce, è il lavoro di
Andrea Francolino (Bari, 1979), artista invitato da Spazio Cordis per una
personale che ne inaugura l’attività espositiva. La sua ricerca, aperta a
contaminazioni con altri ambiti come la fisica e la sociologia, si fonda sull’idea
di un labile e necessario equilibrio tra artificiale e naturale, uomo e mondo,
decadimento e rinascita, ordine e caos, partendo da una considerazione che è
insieme interrogativo esistenziale: “perché il legame dell’uomo con la natura
diminuisce conseguentemente e proporzionalmente a una sua maggiore evoluzione
materialista?”. Di qui la sua attenzione si sposta continuamente dall’infinitamente
piccolo all’infinitamente grande, dall’apparente semplicità di una pianta
all’estrema complessità del cosmo per svolgere un’indagine sui rapporti, gli
equilibri, le iterazioni possibili tra le “cose dell’uomo” e “le cose di
natura”. A fare da filo conduttore, una latente componente di casualità come
dimensione insita nell’ordine stesso del cosmo. Una casualità scoperta e
rilevata (com’è il caso delle crepe), studiata e osservata (come nelle piante),
incontrata e analizzata (come accade nei vetri di Caso x caos x infinite variabili, progetto presentato a maggio
presso The Open Box, Milano).
Partendo
da questi presupposti teorici e concreti, per Principi di mutamento abbiamo selezionato lavori – alcuni dei quali
inediti – che declinano il paradigma di un passaggio dalla matericità piena
alla polvere, alludendo a un ritmo congenito e necessario della natura in cui
però, di volta in volta, negli episodi singoli, l’avanzata dell’uomo si
confronta con la forza di riappropriazione dell’ambiente. A questo proposito, è
importante rilevare come l’atteggiamento dell’artista nello svolgere il tema
del rapporto uomo-natura non scada in una mera polemica contro la
cementificazione degli spazi naturali o nell’affermazione di un auspicabile
ritorno alla terra: la sua ricerca infatti è quella di un equilibrio perfetto,
che colloca l’uomo – così com’è, con i suoi bisogni materiali – in un rapporto
alla pari con la natura, come fossero entrambi ingredienti necessari in dosi
paritarie nella formula di un’esistenza completa e sostenibile. La natura
diventa così elemento indispensabile all’uomo tanto quanto quest’ultimo lo è
nei suoi confronti.
La mostra apre con Dubai
Mall (2013), icnografia in calcestruzzo costruita, distrutta e ricostruita
di uno degli innumerevoli simboli della contemporanea società del consumo al
massimo del suo edonismo e si chiude con la sua labile impronta in una variante
inedita dell’opera, realizzata appositamente per Spazio Cordis, la quale
prevede l’utilizzo di polvere di terra anziché polvere di cemento. Questi due
lavori, che non a caso contengono il principio e la fine dello sviluppo
espositivo in un percorso biunivoco esperibile anche a ritroso, introducono
diversi elementi chiave per leggere la mostra e accedere a una più vasta
comprensione della ricerca di Francolino. In primis i materiali: cemento e
terra, che ritornano in ogni lavoro, diventano gli emblemi della dicotomia tra
artificiale e naturale, uomo e ambiente. In secondo luogo, l’alternanza (che
poi si fa coesistenza) della crepa e della polvere, entrambi temi e strumenti
fondamentali nel lavoro dell’artista: una in quanto elemento causale e
incontrollabile, metafora concettuale dell’esistenza, del trascorrere del
tempo, del mutamento come principio endogeno alla vita del nostro pianeta; l’altra,
come stato ineluttabile, conclusione e rinascita di un ciclo perpetuo, incontrastabile e necessario. Così
la crepa ritorna nella doppia serie delle Sette
meraviglie del mondo (2013/2015), divise
tra mondo antico e mondo moderno, ma in ultima analisi indistinguibili: la
natura interviene senza distinzione nel suo
processo di riappropriazione,
svelando la fragilità dell’essere umano e delle sue “creazioni”, per divenire
poi principio unificante ed egualitario, trasversale alla linea del tempo.
Unico indizio utile all’identificazione sono le coordinate spaziali che
geolocalizzano ognuna delle crepe. Francolino sceglie di titolare i singoli
pezzi utilizzando queste stringhe di numeri e simboli che secondo un sistema
interamente ideato dall’uomo e regolamentato secondo convenzione sociale,
identificano esattamente un luogo, una porzione di mondo. Non solo per l’uso
del cemento, quindi, ma anche nel rapporto titolo-opera, si realizza la
dicotomia e l’equilibrio tra l’artificiale - la razionalità incasellatrice
umana (peraltro veicolata da uno strumento tecnologico utile alla
geolocalizazione) – e il naturale - la crepa.
Qualcosa
di simile avviene con m² (2016): la
razionalità e l’armonia della forma geometrica incontrano la componente casuale
della natura laddove un metro quadrato in calcestruzzo viene crepato e
destrutturato. Il risultato è una forma esplosa, che se nel perimetro conserva
la dimensione originale, all’interno di questo recinto si muove secondo le
infinite variabili del caso. A completare il bilanciamento tra i due poli la
polvere di terra, utilizzata per rilevare i margini crepati dei frammenti in
cemento.
InDalla terra al cemento alla terra al
cemento (2018) poi, fisico e simbolico passaggio dalla matericità piena
delle prime sale alla polvere delle opere al piano interrato, ritorna il
macrotema del percorso reversibile tra il mondo del cemento – pertinenza
dell’uomo – e il mondo della terra – pertinenza della natura-, in una sequenza
di sette pezzi realizzati con la polvere dei due materiali, puri agli antipodi e gradatamente miscelati nella transizione. Qualcosa di simile avviene in From 45.500761 9.224836
to 45.446823
10.969234 (2018) con la differenza che intervengono qui anche la crepa e le
coordinate geografiche: si tratta infatti di una sequenza di crepe rilevate in
polvere di cemento recuperato e in polvere di terra lungo il percorso da Milano,
dov’è il suo studio, a Verona, sede della mostra. Qui l’intervento dell’uomo si
limita all’atteggiamento catalogatore, alla cura dell’artista, che con fare
scientifico preleva l’impronta di un selezionato numero di crepe incontrate sul
suo tragitto e registra l’atto annotando coordinata geografica, data e ora. E
se nel dittico 45.891389 9.767435 (2016)
si completa lo stato di equilibrio presentando il rilievo della stessa crepa in
polvere di cemento prima e in polvere di terra poi, la natura si fa sempre più
presente in opere come m² 2016 e Mater (2016): nella prima freschi
germogli fioriscono da un metro quadrato in calcestruzzo inerte, nella seconda
una piccola pianta prosegue il suo ciclo di vita tra i cocci di un vaso rotto
che qualcuno ha spazzato da un lato. In questi ultimi casi è la natura a
dimostrare resistenza e fragilità allo stesso tempo, poiché il suo saper
rifiorire dalle macerie necessiterà della cura di chi conserva l’opera, a
sottolineare quanto in un sistema perfetto l’uomo debba partecipare alla vita
del cosmo agendo in equilibrio con quei “principi di mutamento” universali e
unici, inalterabili e variabili, identici e contrari. Ragionando per dicotomie
e con un linguaggio estremamente pulito ed essenziale, Francolino rende
manifesta ogni riflessione esistenziale che ha portato alla realizzazione dei
suoi lavori, ammettendo allo stesso tempo qualsiasi possibile considerazione
successiva. Terra e cemento, crepa e germoglio, la studiata associazione degli
opposti e l’attenta osservazione delle componenti casuali